La fattoria dei gelsomini

«Comincia a prenderti dai capelli» aveva detto una sera Mumsie a Rosie, …
«Ma che cosa?» aveva chiesto Rosie.
«L’età, tesoro mio» aveva risposto Mumsie con il terrore nello sguardo…
… Se non si adottavano provvedimenti, spiegò a Rosie, e non si continuava instancabili ad adottarne, dopo aver cominciato a prenderti dai capelli, facendone cadere una buona parte, l’età procedeva inarrestabile verso il basso, annientando e confondendo, gonfiando in un punto e svuotando nell’altro, e sempre, sempre nei posti sbagliati, finché non gettava la persona, afferrandola per i piedi diventati informi come il resto del corpo, sul cumulo dei rifiuti della vita.

Perché mai lady Midhurst, sempre così premurosa e attenta, ha fatto servire ai suoi ospiti uva spina per tre giorni consecutivi nel fine settimana? Acerba tra l’altro! così da fermentare nello stomaco e indurre uno stato di malessere fisico trasferito poi allo spirito.
arton17480.jpgQuesto è l’interrogativo che apre il romanzo. Gli invitati, appartenenti alle alte sfere della politica, del clero e della nobiltà, se lo chiedono bisbigliando per non offendere la illustre padrona di casa. E dopo aver passato in rassegna i loro pensieri e interrogativi se lo chiede anche il lettore.
Sarà l’uva spina, sarà il caldo, sarà che i commensali sono incompatibili tra loro ma, nei pensieri e nei gesti, si rivelano forti intolleranze reciproche. Quando sei seduto a un tavolo per un pranzo non hai via d’uscita e il vicino, nella sedia accanto, può diventare un supplizio e far emergere lati del carattere insospettabili.
L’introduzione del romanzo è corale e di costume, diverte e ci mostra le molte sfaccettature dei personaggi, da quelli marginali alle vere protagoniste. Sì, perché anche questo romanzo si svolge al femminile e racconta i rapporti tra donne: l’alleanza stretta tra madre e figlia (nell’assenza di un codice paterno), il confronto sull’età che avanza e il diverso modo di intendere il matrimonio, tra speranza d’amore delusa e contratto utile.
Uno dei commensali ci svela la metafora dell’uva spina e ci introduce già nella visione poco benevola verso il matrimonio che verrà sviluppata in seguito:
“mentre il suo sguardo inquieto vagava intorno al tavolo, vide la moglie seduta vicino alla porta… Sir Lydford le scoccò un’occhiata maligna. Che seccatrice, pensò con un’animosità tale da restarne lui stesso stupito… restò a rimuginare sul matrimonio e sulla follia dei giovanotti i quali, nell’età più cruciale per la loro felicità futura, si legano per la vita a donne abbastanza vecchie da essere loro madri.
Non ancora così vecchie al momento, ovviamente, ma rapidamente e inesorabilmente destinate a diventarlo; perché le mogli, rifletté scrutando con occhio ostile la sua Bessie, non si mantenevano. Come la maledetta uva spina, all’inizio non erano un peso, ma sul lungo termine – il termine delle mogli sembrava, tranne rare eccezioni, essere lungo – altroché se pesavano!”
Nella storia, come vedremo, questo giudizio verrà ribaltato sui mariti.

L’età e il matrimonio, quindi, sono i temi in questo romanzo della maturità. La scrittrice aveva 68 quando è stato pubblicato, nel 1934, e sembra fare un bilancio un po’ malinconico, cinico, ma al contempo ironico della sua vita di donna di mondo e dei suoi rapporti d’amore.
Ricordiamo che Elizabeth von Arnim ha avuto due matrimoni infelici: il primo con il conte von Arnim dal carattere litigioso e duro; il secondo, contratto nel 1916, con il duca Francis Russel (fratello maggiore del filosofo Bertrand) e finito con la separazione nel 1919 (senza mai divorziare). Ha vissuto altre relazioni: con lo scrittore H.G.Wells e il cognato, il filosofo Bertrand Russel, oltre al legame iniziato a 50 anni con un uomo più giovane di 25, Alexander Stuart Frere Reeves.
Tutta questa vita sembra trasferita nelle figure dei suoi romanzi e in ogni personaggio ne possiamo scoprire un pezzettino.

Prendiamo Lady Midhurst, che diventa familiarmente Daisy nel corso della storia: è una donna nobile e una generosa anfitrione (uso questo termine anche se esiste solo nella versione maschile); ha una figlia grande ma insiste a tingersi i capelli, a “dipingersi di vermiglio labbra e unghie” e a “truccarsi la faccia anziché lasciarsi tranquillamente sfiorire”. È una vedova, in età ma ancora bella. Un matrimonio infelice con un uomo “stolto in fatto di donne” ha congelato i suoi sentimenti e l’ha resa irreprensibile, con una reputazione intoccabile nell’ambiente esclusivo londinese.
La figlia Teresa è, invece, una ragazza poco interessata a vestiti e feste, intellettuale e dedita a opere sociali.
Poi dall’altra parte abbiamo un’altra coppia di donne, madre e figlia anche loro, appartenenti a un ceto piccolo borghese, senza cultura né gusto ma molto ambiziose e arriviste: la bellissima e superficiale Rosie e sua madre Mumsie, donna navigata che concepisce il valore di un matrimonio in termini economici e sgomita per conquistare il suo pezzetto di mondo.
Queste due coppie di donne sono divise dall’appartenenza a classi sociali diverse e dalla differenza di carattere (ma quanto del gusto e del comportamento è forgiato dalla cultura e dal denaro?).
La diversa estrazione sociale è un tema sempre presente nei romanzi di von Arnim, sempre lì a segnare la differenza, a sottolineare un abisso che divide, “impossibile da valicare”; chi non appartiene all’alta società viene accolto “da un’occhiata, da una gelida sorpresa o nella migliore delle ipotesi da un’umiliante cortesia subito seguita da un dileguarsi”.

La vicenda si svolge tra queste donne e quasi incidentalmente, vista l’inconsistenza, tocca anche le figure maschili che non fanno una gran bella figura.
Come Andrew, marito di Rosie e amante di Teresa. Andrew è un uomo grigio e spento ma, nella sua vita, si è lasciato trascinare da pulsioni amorose. La prima, per Rosie, lo ha portato ad un matrimonio infelice con una donna giovane e avvenente ma estranea ai suoi interessi. Un fuoco acceso dalla bellezza e spento ben presto. La seconda per Terry, nata da ideali e interessi comuni, lo ha fatto diventare un traditore, un adultero.
Andrew si sente un uomo decisamente infelice, trascinato da passioni che gli hanno succhiato la vita.

L’amore tra Andrew e Teresa è lo scandalo che getta in crisi profonda lady Midhurst, tanto da allontanarla da Londra per trovare rifugio in una piccola casa circondata da gelsomini nel sud della Francia. Un luogo dove in passato aveva vissuto l’unico breve momento di felicità in viaggio di nozze.
Qui si sposta la scena e si svolge la seconda parte del romanzo nel confronto tra due diversi stili di vita che von Arnim raffigura in Dasy e Mumsie.
I loro pensieri si rincorrono sulla decadenza fisica e sulla giovinezza che non è più; gli sguardi rimbalzano dall’una all’altra e spiano sui volti e sul corpo i segni lasciati dall’età e i provvedimenti presi per nasconderli, per combatterli.
Sono giudizi poco lusinghieri, che le due donne esprimono con una certa crudezza realistica, inseguendo il desiderio e l’impossibilità di negare il limite del corpo (tema più che mai attuale).
Mumsie:
“Cinquantatrè anni. Mumsie lo sapeva, avendo seguito le vicende di lady Midhurst con la massima attenzione, cinquantatré anni e guardatela. Faceva capire cosa poteva il denaro, si disse, sentendo che il proprio trucco, che naturalmente aveva dovuto applicasi da sé, era un po’ troppo carico”.
Lady Midhurst:
“(Mimsie) era talmente patetica con quel completo da spiaggia inadeguato ed economico, che cercava imperterrita di essere ancora giovane e bella quando invece doveva essere già da tempo… «Come te», si sovvenne a disagio quasi folgorata… Che assurdità: che somiglianza poteva mai esserci”.
“Eppure, seduta così vicina alla sua ospite da non poter evitare di osservarne ogni dettaglio, si sentì in un certo qual senso commossa. Non si intuiva forse, in quel suo logoro fulgore, un grande coraggio, un’indomita volontà di prendere il meglio delle cose e di tenere alta la bandiera a dispetto dell’età?
«Un po’ come me» si ritrovò a pensare Daisy; e subito scacciò quel pensiero fastidioso”.

I pensieri sul matrimonio sono ancora più crudi. Frustrazioni per le illusioni deluse o calcoli fatti con un certo cinismo, mettono in luce le diverse infelicità. Il sentimento ferito di lady Midhurst si alterna ai pensieri più pratici di Mumsie, che non può lasciarsi andare al romanticismo e considera gli uomini e il matrimonio per quello che possono servire a rendere la vita più facile. Modi diversi di reagire a una sconfitta e difendersi dall’amarezza.

“Perché erano in molti, sosteneva Mumsie, a rivelarsi dei fiaschi totali una volta che li si conosceva bene, e per conoscere bene una persona non c’era niente di meglio che sposarla, un modo ben stravagante per fare conoscenza, lo ammetteva. Del resto cosa si poteva fare? si chiedeva”.

«Li fa star buoni» aveva detto Mumsie, adottando uno dei suoi tanti atteggiamenti verso gli uomini: quello della balia che infila qualcosa di dolce nella bocca del piccolo a lei affidato non appena questo apre bocca per piangere.
«Rispondere di sì li fa stare buoni. Rispondi sì e comportati no, questo è il mio motto» aveva esclamato Mummie con allegria”.

“Nulla importa, diceva spesso a Rosie, quando si sa che non durerà per sempre; era per questo, aggiungeva talvolta, quando era di umore particolarmente espansivo, che si era sempre cercata mariti in là con gli anni”.

«E io adoro essere vedova» faceva le fusa Rosie… «Adoro esserlo. Non vorrei essere null’altro per tutto l’oro del mondo».
«È la cosa migliore che la vita può offrirti» convenne Mumsie solennemente.

Mumsie sembra essere l’alter ego di lady Midhurst: entrambe svelano la delusione verso l’amore e il matrimonio. Ma è attraverso Mumsie che von Arnim esprime tutto il disincanto e lo scetticismo nei confronti dei sentimenti e il ripiegamento nel tornaconto pratico.
Sì, un bilancio malinconico e anche un po’ cinico alleggerito dall’ironia che, quella no, non manca mai nei suoi romanzi.

Elizabeth von Arnim
La fattoria dei gelsomini
Bollati Boringhieri, 2011

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