Guida semiseria per aspiranti storici social

A chi, sbagliando, penserà ‘parla di me’ e a chi penserà ‘non parla di me’, sbagliando

L’ho visto sul bancone di una libreria Feltrinelli a Milano in mezzo alla moltitudine di libri esposti, vicino a Le non cose di Byung-Chul Han; l’ho identificato nella mia categoria di interesse cioè il modo con cui le persone interagiscono nell’ecosistema digitale, ed eccomi qua a riprendere i passaggi che mi sono sembrati interessanti.

È un libricino di poco più di un centinaio di pagine che si legge facilmente, scritto da Francesco Filippi e pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2022.

Intrigante la dedica:

A chi, sbagliando, penserà ‘parla di me’

e a chi penserà ‘non parla di me’, sbagliando”.

In sostanza l’argomento ci riguarda tutti e tutte perchè, pur riferendosi alla categoria degli storici esperti o improvvisati che frequentano i social, Filippi ripercorre alcune caratteristiche di questi mezzi online valide per ogni categoria di discussione.

L’avvento dei social ha mescolato le carte tra ciò che consideriamo intimo e privato e ciò che é pubblico: l’atmosfera dei discorsi da bar‘, in cui tutti dissertano di tutto in piena libertà, la ritroviamo nelle piattaforme social, con la differenza che le cose che scriviamo quando prendiamo in mano uno smartphone non restano solo lì, come nella saletta del bar, ma circolano nel mondo e le persone con le quali discutiamo non sono quelle reali, che conosciamo, e quindi tendiamo a ridurle a ‘uno-nessuno-centomila’.

L’argomento sul quale si concentra l’autore nel libro è circoscritto: riguarda la ‘Storia’ e i commentatori storici, che sono un particolare tipo di ‘esperti da bar’. Alla storia, nei social, viene dato ampio spazio e interesse ed è diventato un costume sociale diffuso quello di dibattere su qualunque argomento del passato: sia Facebook, il ‘social dei vecchi’, sia Instagram e anche Tik Tok (stra)parlano di storia. Si tratta di chiacchiere virtuali che diventano quasi sempre arene in cui prende il sopravvento la discussione e la lite, con la pretesa di ognuno di avere la ‘vera’ verità storica in tasca.

Nelle dispute che riguardano il passato ad esempio una tra le prime vittime delle discussioni è proprio il tempo stesso, inteso come tempo di analisi, tempo di applicazioni metodologiche, tempo della ricostruzione fattuale. E allo stesso modo si sacrifica il tempo della distanza e della percezione, il tempo della disamina delle differenze tra la testimonianza e il fatto. In pratica, riversando un contenuto complesso in uno strumento concepito per accogliere l’opinione istantanea, l’emozione del momento e anche, perché no?, la chiacchiera, si finisce con il deturpare il contenuto stesso schiacciandolo in tempi e modi impropri. Una forzatura che fa scivolare tutto da oggettivo a soggettivo, da soggettivo a parziale e da parziale a ‘di parte’. Si abbandona così il terreno del confronto e si entra immediatamente nello scontro, degradando lo scambio in disputa e focalizzando l’impegno dei contendenti non sul conoscere, ma sul vincere”.

Non sappiamo quali saranno le conseguenze di ciò sul modo di leggere e interpretare la storia, perché ci troviamo di fronte a un fenomeno recente, di una ventina d’anni, nel quale siamo immersi, senza avere la distanza necessaria per una osservazione imparziale. Però possiamo cogliere molti elementi sui quale fare delle riflessioni.

L’uso del NOI retorico, ad esempio.

L’uso del Noi, che si riscontra di frequente nei dibattiti social, ha l’effetto di trasformare un evento storico in una esperienza memoriale. Diventa un Noi eterno e atemporale, applicabile a qualsiasi discorso. Il Noi costruisce una categoria umana dai contorni variabili, che dipende dal contesto. Offre un senso di appartenenza e fornisce sostegno psicologico: dà autorità presentarsi in una discussione con il Noi.

Il Noi presuppone un VOI che diventa tutto ciò che non fa parte del Noi.

Il Noi e il Voi creano la necessità della scelta e, nell’arena virtuale, si contrappongono in battaglie interminabili in cui la Storia diventa solo un’occasione per nutrire il proprio Ego.

Insomma,” conclude l’autore “se si vuole mantenere un rapporto sano con i social e anche con se stessi, bisogna evitare in generale le discussioni online che porteranno solo a consumare giga e bile scontrandosi con persone che si ritengono portavoce di interi gruppi umani ormai estinti”. 25

La reductio ad Hitlerum è un altro elemento interessante.

Si tratta di un artificio retorico teorizzato dal filosofo Leo Strauss: in una discussione politica vince chi dimostra la vicinanza di idee e intenti dell’avversario-interlocutore alle posizioni di Hitler, icona del male assoluto. E, come ha osservato l’avvocato statunitense Mike Godwin già nel 1990, quando una discussione si allunga diventa molto probabile il paragone riguardante i nazisti o Hitler. Il paradigma Hitler funziona ancora nelle dispute online per stabilire i confini morali di un argomento e porta con sé l’immagine della colpa che dal passato stende l’ombra sul presente di chi è, in qualche modo, vicino al reo. Anche se sappiamo che la colpa è personale e non si eredita la si estende come concetto a quella categoria del Voi che accostiamo al male del passato.

Ogni colpa del passato può essere riversata senza problemi sull’oggi, aggrappandosi a qualsiasi appiglio formale e non: etnia, gruppo sociale, genere, ecc.

Una forzatura che ritroviamo nel ricorso a episodi del passato, anche remoto, è l’anacronismo che si basa su due idee:

– che le azioni e le scelte degli esseri umani del passato fossero dettati da una consapevolezza nei confronti del futuro (come se sapessero come costruire quello che è il nostro presente);

– che il passato obblighi il presente a una ‘missione storica’ definita, cioè a portare avanti specifiche scelte morali.

Assurdo, a pensarci! Però è un espediente e un abuso retorico efficace che viene usato nelle propagande per sostenere visioni politiche e sociali.

Il benaltrismo è un’altra trappola di queste discussioni. È la tendenza a eludere le risposte ad un argomento adducendo l’importanza di ben altri temi. Vi si ricorre frequentemente, non solo online (come quando nelle discussioni politiche si porta il tema dei diritti o del linguaggio di genere o la parità salariale e la risposta è che è più urgente parlare del lavoro e dell’economia, come se una cosa escludesse l’altra!). Soprattutto online succede spesso che vengano considerati più ‘meritevoli’ altri temi e si svia, in questo modo, la discussione.

Partendo dal benaltrismo non si imposta nessuna vera discussione, ci si limita a soffocare sul nascere quella in cui si interviene”.

Nel testo, insieme a esemplificazioni ironiche (= prese per i fondelli) che tendono a mettere in ridicolo alcuni frequentatori di pagine di storia dei social, ci sono anche considerazioni su cosa sia la testimonianza storica, come l’interpretazione vada usata con cautela e la reinterpretazione sia continua. Perché la storia contiene tutto e il contrario di tutto, è un campo vastissimo in cui ogni studioso porta un pezzetto di sapere.

Quando nelle discussioni vengono usati i testi storici più noti e resi sacri, con citazioni a iosa e brani riportati, li si rende simboli di un sapere impossibile: perché nessuno può avere una conoscenza illimitata degli studi sull’argomento. L’uso che se ne fa si chiama manipolazione.

Un’avvertenza per gli studiosi di storia: mai mettersi in cattedra quando si interviene in una discussione social. Anche i più esperti della materia, con studi e titoli, vengono considerati alla pari di tutti. Non bisogna dimenticare che le pagine social non sono aule scolastiche e che essere considerati bravi docenti nel quotidiano non è sufficiente per esserlo altrettanto nel mondo virtuale. Il web inoltre ha sviluppato una sorta di linguaggi, una modalità di comunicazione con gerghi e neologismi che non sono quelli del mondo settoriale culturale tradizionale. In Internet funziona un altro registro che ha fatto tramontare il concetto di autorità.

Il risultato di tutto questo non è incoraggiante perché episodi e fatti storici vengono usati per schierarsi in una discussione e in tal modo banalizzati. Perdono spessore nel momento in cui sono estrapolati dal contesto e usati come una clava sulla testa dell’interlocutore che, a sua volta, prende altri episodi storici, anche di un’altra epoca, e li usa nello stesso modoQuesto porta alla banalizzazione che anestetizza anche gli avvenimenti più difficili.

Se partiamo ad esempio dall’assunto che i morti hanno tutti lo stesso peso nel racconto del passato, allora possiamo contemporaneamente relativizzare il concetto stesso di violenza nella storia. Se i morti sono tutti uguali, allora anche gli atti di violenza che li hanno provocati, con un po’ di abilità oratoria, possono sembrare tutti uguali. E questo ha un impatto diretto sul rapporto tra il presente e la storia perché i lutti e la violenza sono un parametro possibile per questa lettura che i singoli danno di ciò che è stato. [Ma] i morti, a ben vedere tutti uguali non sono. O, meglio, si dovrebbe specificare: i morti possono essere tutti uguali dal punto di vista autoptico. Ma il modo in cui ognuno muore fa la differenza, eccome. I percorsi di vita che ognuno sceglie di tenere o di cui è vittima sono la cifra su cui poter costruire un’analisi delle scelte di chi non è più e quindi anche una possibile valutazione morale a seconda dei valori riconosciuti”. 81

Tutto questo interesse per il passato è una fuga dall’oggi?

Il passato può essere un luogo assai accogliente. Al contrario, il presente con i suoi problemi e la sua realtà così rigida può rivelarsi davvero inospitale“. Ci si può quindi rifugiare in un posto che sembra più semplice da conoscere e da controllare. I più appassionati cercano addirittura di rivederlo e la natura pervasiva dei social risucchia una certa dose del tempo di chi ne usufruisce. In Internet assistiamo a una idealizzazione del passato che viene cristallizzato e diventa oggetto di culto. È la funzione alienante che l’abuso della tecnologia provoca.

Però non si può negare, conclude infine l’autore con una nota positiva, che nonostante le questioni poste Internet abbia portato a una grande divulgazione di materiali e strumenti di studio consultabili. Inoltre, tramite i dibattiti social, è una fonte inesauribile di informazioni, di testimonianze, per lo studio dell’essere umano nel tempo e dei modi di vivere e conoscere.

1 Comments

  1. Hai proprio ragione, Facebook è diventato il social dei vecchi. E infatti Zuckerberg, intuendo che la sua creatura sarebbe andata a morire, si è portato avanti comprando anche il social dei giovani, ovvero Instagram! 🙂

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